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Temi Valutazione del Danno alla Persona
Danno alla Persona

Danno estetico

Il DANNO ALLA VITA DI RELAZIONE E IL DANNO ESTETICO NELLA GIURISPRUDENZA
di Giuseppe Rampino
Il danno alla vita di relazione consiste, secondo la definizione comunemente accolta in giurisprudenza, nell'impossibilità o nella grave difficoltà, per la persona che subisce menomazioni fisiche, di reinserirsi nei rapporti sociali oppure di continuare a mantenerli al livello abituale.
In dottrina, il concetto di danno alla persona è stato riferito alla capacità sociale in genere, o è stato definito come danno attinente a tutte le manifestazioni extralavorative di ogni essere umano, come i rapporti sociali, i rapporti sentimentali e sessuali, la cura della casa ecc.
In materia di danno alla vita di relazione, la giurisprudenza registra diversi orientamenti che mutuano nel tempo anche in considerazione della stessa definizione che si viene a dare a questo tipo di danno.
In un primo momento, il giudicante tenta di far rientrare il danno alla vita di relazione, nella categoria dei danni patrimoniali ammettendone sempre il risarcimento, nonostante parte della dottrina continuasse a considerarlo un danno patrimoniale indiretto.
Nella manualistica che maggiormente si è occupata dell'argomento, è usuale la citazione della sentenza del 2 giugno 1984, n° 3344, della Corte di Cassazione che pone in evidenzia le differenze tra il danno alla vita di relazione ed il danno morale:
"il danno morale, consistente nell'ingiusto perturbamento dello stato d'animo del leso determinato dall'offesa ricevuta, non può identificarsi nel danno alla vita di relazione che, configurandosi nell'impossibilità o anche nella difficoltà, per chi ha subito menomazioni fisiche, di reinserirsi nei rapporti sociali oppure di mantenerli ad un livello normale, sì da annullare o diminuire, secondo i casi, le possibilità di collocamento e sistemazione del danneggiato, integra invece un'ipotesi di danno patrimoniale al pari del danno alla capacità lavorativa, pur differenziandosi da questo, con conseguente separata risarcibilità"
Più di recente, la Cassazione ( Cass., n. 6023 del 2001) stabilisce che:
"Il danno alla vita di relazione, che si concretizza nella impossibilità o nella difficoltà, per chi abbia subito menomazioni fisiche, di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale, è una componente del danno biologico e non di quello patrimoniale".
Anche la giurisprudenza di merito, seguendo la strada tracciata dal Supremo Giudice, ha avuto modo di pronunciarsi in materia di danno alla vita di relazione.
Esemplificativa, al riguardo, una famosa sentenza emessa dal Tribunale di Monza (Trib. Monza, 15.02.1988):
"In tema di risarcimento del danno alla salute sussiste un danno alla vita di relazione in caso di diminuzione della capacità di acquisire determinate posizioni sociali ed incidente sia nell'ambito delle relazioni umane sia nell'attività lavorativa".
La giurisprudenza, per lungo tempo, continua a considerare il danno alla vita di relazione come sottospecie del danno patrimoniale e come tale, sempre risarcibile, a patto, comunque, che venga dimostrata l'effettiva perdita economica subita.
Da tale impostazione, deriva un duplice risarcimento al soggetto leso, uno a titolo di danno biologico, ed uno titolo di danno alla vita di relazione ed uno.
Si veda la sentenza della Corte di Cassazione del 13.11.1989, n. 5197:
"il danno alla vita di relazione costituisce una componente del danno patrimoniale e concreta non una generica menomazione, bensì un nocumento che tocca aspetti specifici della personalità umana, variabili a seconda dell'età, del sesso. Dell'attività esercitata e delle condizioni ambientali in cui la vittima vive ed opera. Conseguentemente, nel procedere alla sua liquidazione, il giudice del merito è tenuto ad indicare le ragioni idonee a suffragare il convincimento raggiunto, specie se detti elementi siano stati oggetto, nel corso del giudizio, di specifiche deduzioni".
Si veda inoltre la sentenza della Corte di Cassazione del 02.06.1984, n. 3344:
"il danno alla vita di relazione integra invece un'ipotesi di danno patrimoniale al pari del danno alla capacità lavorativa, pur differenziandosi da questo, con conseguente separata risarcibilità".
Gli anni novanta registrano, tuttavia, un diverso orientamento da parte del Supremo Collegio, anche in considerazione del giusto rilievo da attribuire al bene "salute" ( art. 32 Cost.) e all'incommensurabilità del valore della persona, a prescindere dalla capacità di produrre reddito o dalle spese sostenute in conseguenza dell'illecito.
Si veda la sentenza n. 2761 del 03.04.1990 della Corte di Cassazione.
Essa così statuisce:
"Il c.d. danno alla vita di relazione non costituisce un aspetto del danno alla persona suscettibile di autonoma valutazione rispetto al danno biologico, bensì uno dei fattori di cui il giudice deve tener conto per accertare in concreto la misura di tale danno, che va inteso come menomazione arrecata all'integrità psicofisica della persona in sé per sé considerata, e perciò come menomazione incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica".
Nello stesso senso la sentenza della Corte di Cassazione del 16.04.1996, n. 3565:
"il danno biologico quale lesione del diritto alla salute quale fondamentale diritto alla persona umana, ha un contenuto che può essere solo personale, ovvero anche interpersonale: in quest'ultimo caso, prende il nome di danno alla vita di relazione. Quest'ultimo pertanto coincide necessariamente col danno biologico, mediante una personalizzazione qualitativa o quantitativa dei parametri adottati per la liquidazione".
Si veda ancora la sentenza del 13.09.1996, n. 8260:
"Il cosiddetto danno alla vita di relazione rientra nel danno alla salute e va liquidato solo a tale: è tuttavia consentito al giudice procedere ad una liquidazione distinta rispetto alle altre voci di danno componenti il biologico".
Non meno articolata è l'affermazione ed il recepimento di un altro tipo di danno, strettamente correlato con il precedente, ovvero il danno estetico. Esso è generalmente individuato dalla dottrina come quello riconducibile alle difficoltà che l'individuo incontra nell'intrattenere relazioni sociali a causa dell'aspetto sgradevole conseguente ad una modificazione estetica subita.
Gli studiosi della materia precisano, inoltre, che tale modificazione peggiorativa del complesso estetico individuale, non riguarda solo il volto, ma anche altri organi della persona.
In giurisprudenza, il danno estetico, in un primo tempo, viene identificato con il danno alla vita di relazione, o meglio un particolare tipo di esso: il danno estetico si risolve in un danno alla vita di relazione che pone il soggetto in condizione di inferiorità per quanto attiene ai rapporti con il mondo esterno con impedimento alla libera espansione della sua personalità e con conseguente pregiudizio economico. Si avverte, comunque, tanto in dottrina che in giurisprudenza, il problema della liquidazione del danno sempre legato a quello della classificazione.
Ci si domanda se esso possa essere considerato danno patrimoniale sempre risarcibile, danno morale o anche danno biologico. Le decisioni più numerose sembrano orientarsi verso la tesi del danno patrimoniale.
Si veda la sentenza della Corte di Cassazione n. 2409 del 19.05.1989:
"I postumi di carattere estetico, conseguenti ad un fatto lesivo della persona (nella specie alterazione armonica del viso) in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione possono essere considerati fonte di danno, il quale non costituisce una forma di danno morale , ma è una componente del danno patrimoniale, giacchè consiste nell'alterazione, in senso peggiorativo, della capacità psicofisica del soggetto, cui si ricollegano conseguenza negative nell'esplicitazione di attività complementari o integrative rispetto alla normale attività lavorativa".
Così ancora si veda la sentenza della Corte di Cassazione, n. 4956 del 06.06.1987:
"Il danno alla vita di relazione non costituisce una forma di danno morale, ma è una componente specifica del danno patrimoniale, in quanto esso consiste nella compromissione peggiorativa della capacità psicofisica del soggetto, incidente sulla esplicitazione di attività complementari o integrative rispetto alla normale attività lavorativa, e quindi, di riflesso anche su quest'ultima. Il danno predetto implica una menomazione della cosiddetta capacità di concorrenza dell'individuo rispetto ad altri soggetti dei rapporti sociali ed economici, e, sotto tale aspetto, anche la componente estetica ha un'incidenza patrimoniale, riflettendosi sulle menomate capacità di espansione e di affermazione del soggetto sia in campo professionale che nel campo lavorativo".
Un diverso orientamento giurisprudenziale, tenta di far rientrare il danno estetico nella categoria dei danni non patrimoniali come ad esempio una sentenza del Tribunale di Cagliari, spesso citata dalla manualistica che si è occupata dell'argomento:
"La lesione dell'integrità fisica, tale da compromettere l'aspetto estetico della persona può provocare un danno non patrimoniale consistente nelle sofferenze psichiche che la malattia patisce in seguito alla distorsione del rapporto tra il soggetto ed il proprio corpo, per effetto delle alterazioni anatomiche e per l'incidenza negativa che tali alterazioni hanno nei rapporti interpersonali"(Trib. Cagliari, 09.01.1985).
Rimane, comunque, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, una sorta di doppio percorso che porta ad incasellare il danno estetico tra i danni patrimoniali oppure tra quelli morali.
Più in particolare, si riconosce la possibilità che una deformazione estetica determini due forme di danno, una di tipo patrimoniale ed una di tipo morale.
Si veda, ad esempio, la sentenza della Corte di Cassazione n. 1996, del 07.04.1996:
"Nel caso che al danneggiato residuino postumi di carattere estetico, spetta allo stesso il risarcimento dei danni patrimoniali e morali. In tale ipotesi non sussiste una duplicazione del risarcimento in quanto le relative menomazioni producono due forme di danno: quello patrimoniale, consistente nella perdita di vantaggi economici, in rapporto all'attività lavorativa e alla vita di relazione e quello morale , consistente nelle menomazioni che si ripercuotono sulla sfera psichica del soggetto leso".
Quest'ultimo indirizzo è apparso condivisibile alla maggioranza della dottrina a patto di tenere distinti i danni di diversa natura: è possibile, quindi, ottenere due risarcimenti, uno a titolo di danno patrimoniale ed uno a titolo di danno biologico. L'importante, tuttavia, è che non si conceda un ulteriore risarcimento a titolo di danno estetico, in quanto quest'ultimo non è che un'espressione del danno biologico e quindi va valutato insieme ad esso.
L'evoluzione della giurisprudenza della Cassazione sembra orientata negli ultimi anni, in questa direzione (cfr. Cass. sez. lav. 05.09.1988):
"il danno c.d. biologico è comprensivo del c.d. danno estetico, quando questo non costituisca causa di minor guadagno per la particolare attività svolta dall'infortunato (attività sportiva, ricreativa, culturale, rapporti sentimentali ecc.)."




Avv. Giuseppe Rampino



 

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