Sanita': 15 mila denunce l'anno per i medici, 1.500 per chirurghi
E' impressionante il numero di denunce per errori medici in Italia.
"Sono quadruplicate in dieci anni, tanto che secondo i dati Ania (Associazione nazionale imprese
assicuratrici) sono passate da 3.154 nel 1994 a 11.932 nel 2004. Oggi il dato si aggira intorno a quota
15 mila, e si tratta di una sottostima". Parola di Antonio Mussa, direttore del Dipartimento di oncologia
dell'azienda ospedaliera Le Molinette di Torino, intervenuto alla presentazione a Roma dell'VIII Convegno
di primavera della Società italiana di chirurgia (Sic), in programma nel capoluogo piemontese
il 9 e 10 maggio.
"Non esiste la possibilità di quantificare con precisione questo fenomeno - prosegue Mussa - l'unico
dato accessibile è la percentuale di cause per malpractice valutata da una commissione tecnica istituita
dal ministero della Salute nel 2005". Secondo la 'fotografia' dei tecnici, "la chirurgia è al quarto
posto nella classifica delle specialità più bersagliate dalle cause (10%), dopo il record di
ortopedia (16,5%), oncologia (13%) e ostetricia (11%)". Insomma, le denunce a carico
dei 'maghi del bisturi' possono essere stimate "intorno a 1.500 ogni anno". "In pratica - dice
Roberto Tersigni, presidente della Sic - ben quattro chirurghi su cinque ricevono, nel corso della
propria vita professionale, almeno una richiesta di risarcimento o un avviso di garanzia per un
presunto errore. E in generale i medici italiani trascorrono almeno un terzo della loro vita lavorativa
a barcamenarsi tra carte bollate, processi e tribunali. Non è che oggi si sbaglia di più - precisa il
chirurgo - è che sono aumentate le denunce". Lo testimoniano anche i dati dell'Amami,
l'Associazione medici accusati di malpractice ingiustamente, citati oggi dai chirurghi.
"L'80% delle denunce e dei procedimenti a carico dei colleghi - dice, infatti Mussa - finisce di fatto
archiviato, perché il fatto non sussiste. Ma questo dopo vicende che durano in media 3-5 anni". Passare
attraverso le forche caudine di un procedimento giudiziario non lascia il 'camice verde' senza danni.
"C'è chi, per non esporsi più al rischio di denunce, rinuncia a interventi rischiosi o impegnativi",
sottolinea il presidente della Sic. "Ho visto allievi - gli fa eco Mussa - messi sotto processo e poi
assolti, che ancora faticano a entrare in sala operatoria, e un altro che alla fine ha chiesto un
risarcimento per danno biologico". Insomma, le conseguenze dello 'stress da denuncia' rischiano di essere
pesanti, specie per i giovani bisturi. "In ogni equipe ci sono medici che non operano, se non a livello
semplice, ed eseguono interventi quasi privi di rischi - dice Enrico De Antoni, presidente eletto
della Sic - E' giusto accertare le modalità di un decesso o verificare la correttezza di procedute.
Ma oggi arrivano denunce per fatti avvenuti anche 10 anni fa. Occorrerebbe finalmente varare una legislazione
moderna e adeguata in materia, che riconosca l'atto medico a fine terapeutico, preveda la differenza nel
penale tra colpa grave e lieve del medico, come pure la necessità di dimostrare il nesso di causalità
tra l'operato del 'camice bianco' e l'evento avverso. Infine, il procedimento penale deve essere a
querela di parte e non d'ufficio. E si deve prevedere l'assicurazione obbligatoria per il chirurgo. E'
importante - conclude - istituire come all'estero un albo dei periti, all'interno del quale il tribunale
possa scegliere un consulente doc, in grado di valutare davvero l'operato del medico".
Fonte: Adnkronos Salute
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