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Archivio NEWS

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19/01/2010 N° viste: 5911

Piercing: allarme infezioni

L'Académie Nationale de Médicine ha fatto un'indagine sulla moda dei piercing: tra il 10 e il 30 per cento dei casi, il "buco" crea infezioni locali e sanguinamenti, che dipendono anche dalla zona del corpo scelta. Dov'è, allora, meglio farlo? Ne parla Salute del Corriere della Sera. "Arrossamenti, gonfiore, sensazione di calore, dolore e pus", Salute elenca così gli effetti collaterali dei piercing. E in Francia, dove non esistono norme precise in materia come in Italia, un'indagine ha rilevato che un'infezione da piercing si verifica quasi in un terzo dei casi. La cause, scrive Salute, "dipendono dai materiali usati, dalle capacità dell'operatore, dall'igiene durante e dopo il trattamento, ma anche dalla zona del corpo in cui viene praticato il piercing". Anche la parte del corpo scelta, quindi, può favorire o meno l'insorgere di un'infezione locale: su 100, 40 sono all'ombelico, zona ad alto rischio di macerazione. Poi, 35 all'orecchio e 22 al naso (aree di per sé già aperte alle infezioni perché "esterne"), 5 al seno e 8 complessivamente a lingua, palpebre e genitali. Dati, tuttavia, che vanno letti anche alla luce della frequenza con la quale si chiede un piercing in quelle zone del corpo.
Il piercing può essere davvero rischioso? Ridimensiona l'allarme Antonella D'Arminio Monforte, docente di Malattie infettive all'università degli studi di Milano: "Un'infezione locale grave può condurre a setticemia, endocardite, osteomielite, ma si tratta di evenienze rarissime. E per arrivare a tanto bisogna trascurare i sintomi di un'infezione locale che ci curano semplicemente con antibiotici orali. Quanto al rischio Aids ed epatite, è ben noto, tanto che, dal 1998, il Consiglio d'Europa ha escluso dalla donazione di sangue chiunque si sia fatto un piercing, o un tatuaggio, nell'anno precedente. Da non trascurare poi il rischio di allergie locali: evitare di inserire anelli e simili in nickel. Meglio poi lasciar perdere del tutto il piercing se si è diabetici, dializzati, immunodepressi".

Fonte: Corriere della Sera


 

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