Responsabilità medica d’equipe: errore evidente e principio di affidamento
La Cassazione penale, con la sentenza del 12 luglio 2006, n. 33619, depositata il 6 ottobre 2006, si è
pronunciata in materia di colpa professionale di equipe medica ed è tornata sui criteri di imputazione
soggettiva della responsabilità e sul concetto di 'errore evidente' ad un 'professionista medio'.
Questa la massima: "ogni sanitario è responsabile non solo del rispetto delle regole di diligenza e perizia
connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma deve anche conoscere e valutare le attività degli
altri componenti dell'"èquipe" in modo da porre rimedio ad eventuali errori posti in essere da altri,
purché siano evidenti per un professionista medio, giacché le varie operazioni effettuate convergono verso
un unico risultato finale".
Si tratta della dibattuta questione circa il dovere di vicendevole controllo cui sono tenuti i medici che
svolgono attività di gruppo, al fine di porre riparo ad eventuali errori evidenti e rilevabili con il
supporto delle conoscenze comuni del cosiddetto 'professionista medio'. Nel caso di specie, peraltro, la
Cassazione si è limitata a confermare la decisione emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che a sua
volta aveva sostanzialmente confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Cosenza di condanna
di due medici (anestesisti) per la morte di una partoriente.
La Corte distrettuale aveva fatto rilevare che si era trattato di "errori piuttosto banali e comunque
relativi proprio alla attività di anestesista", commessi durante "un banalissimo intervento di taglio
cesareo, eseguito su persona del tutto sana e priva di controindicazioni all’anestesia, deceduta soltanto a causa di una errata manovra di intubazione". In particolare, nella fase di merito è stato accertato che la morte della
partoriente, nel corso dell’intervento di parto cesareo, era stata causata da una errata manovra di intubazione a
seguito di anestesia generale. L’anossia prolungata che aveva causato la morte era stata determinata dal fatto che
"la cannula per ben due volte era stata introdotta nell’esofago invece che in trachea".
Al manifestarsi dei primi sintomi di sofferenza da ipossigenazione i due sanitari erano stati indotti ad una
nuova introduzione del tubo nella trachea; ma nonostante il secondo tentativo la situazione era degenerata
in arresto cardiaco, che aveva portato al decesso della paziente.
La responsabilità dell’anestesista (I. U) intervenuto in seconda esigenza (stando alla sua tesi difensiva
avrebbe svolto un ruolo del tutto marginale nella vicenda), è stata basata "sull’imperita auscultazione polmonare nella prima intubazione" – eseguita dal suo collega – e sull’errata intubazione effettuata una seconda
volta personalmente: "questi non si è avveduto della prima manovra di intubazione eseguita dal B.R. ed ha provveduto ad
effettuare la seconda, erronea; sicché "ha partecipato attivamente alle due fasi dell’anestesia, entrambe
errate".
In realtà la Cassazione, con la recente decisione, ha confermato un orientamento già più volte espresso dalla
stessa sezione (cfr. Cass.Sez.IV, 24 gennaio 2005 n. 18548; Cass.Sez.IV, 6 aprile 2005 n° 22579;
Cass.Sez.IV, 2 marzo 2004 n. 24036; Cass.Sez.IV, 1 ottobre 1999). La massima che meglio sintetizza gli
orientamenti giurisprudenziali sull’argomento, a giudizio dello scrivente, è quella maggiormente citata
(dalla più recente giurisprudenza) tratta dalla sentenza n. 24036/2004 sopra indicata. Vale la pena
riportarla per maggior chiarezza e per un quadro più completo della situazione: "In tema di colpa
professionale, nel caso di "equipes" chirurgiche e, più in generale, in quello in cui ci si trovi di
fronte ad ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, sia pure svolta
non contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza
connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti
dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni
sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da
altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se
del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui
che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle
comuni conoscenze scientifiche del professionista medio". (Cass. pen. Sez. IV, 02-03-2004, n. 24036)
Situazione diversa si prospetta quando gli errori siano 'particolari' e 'settoriali', afferenti a discipline
specifiche e specialistiche e soprattutto quando non siano evidenti, quindi, rilevabili ed emendabili con il
sussidio di conoscenze scientifiche del professionista medio. In tal caso, per farne soltanto cenno, può
valere il cosiddetto 'principio dell’affidamento' in base al quale ogni 'specialista' non può considerarsi
vincolato a improntare la propria condotta in funzione del rischio di comportamenti colposi altrui, in quanto
può fare affidamento sul fatto che gli altri 'specializzati' agiscano diligentemente e nell’osservanza delle
regole di propria competenza.
La Cassazione per definire il suddetto principio ha usato espressioni del seguente tenore: - "principio
secondo il quale ciascuno può contare sull'adempimento, da parte degli altri, dei doveri su di essi
incombenti" (Cass. pen. Sez. IV, 26-01-2005, n. 18568); - "principio secondo il quale ogni consociato può
confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di
agente proprio dell'attività che di volta in volta è in esame, ed ognuno deve evitare unicamente i pericoli
scaturenti dalla propria condotta" (Cass. pen. Sez. IV, 26 maggio 1999, n. 8006). A proposito del significato
che si può dare alla locuzione 'principio dell’affidamento', la stessa decisione 8006/1999 ha spiegato che
"significa semplicemente che di regola non si ha l'obbligo di impedire che realizzino comportamenti pericolosi
terze persone altrettanto capaci di scelte responsabili". Tuttavia, è stato chiarito che il suddetto principio
"non può essere invocato quando colui che si 'affida' sia in colpa, per avere violato determinate norme
precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciò nonostante, confidi che altri, che eventualmente
gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini quella violazione o ponga rimedio a quella omissione"
(Cass. pen. Sez. IV, 26 maggio 1999, n. 8006 - Cass. pen. Sez. IV, 26-01-2005, n. 18568). In tal caso, è stato
precisato, "ne deriva che ove, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione
avrebbe dovuto e potuto impedire, l'evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo
configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento".
Le osservazioni che precedono, sul concetto di 'errore evidente' e sul 'principio dell’affidamento', aiutano a
cogliere alcune specificità della vicenda giudiziaria conclusasi con la decisione in commento. Nella concreta
fattispecie, quanto ai destinatari dell’esercizio dell’azione penale, sembrerebbe non essere stato coinvolto
nel giudizio il chirurgo che, ricevuto il "beneplacito all’inizio dell’intervento" rapidamente "aveva
provveduto pochissimi minuti dopo la prima intubazione all’apertura della fascia addominale ed alla rapida
estrazione del feto" (salvandolo!). Evidentemente, non gli è stata attribuita alcuna responsabilità in quanto
l’errore (anche se definito banale!) consistito nella non corretta intubazione (introduzione della cannula
nell’esofago, anziché nella trachea), seguito da "prolungata anossia conseguente a mancata intubazione", deve
essere stato considerato 'errore evidente' per un 'anestesista medio', quindi settoriale dell’attività
anestesiologica , ma estraneo alle possibilità di intervento del chirurgo. La prima conclusione che si può
trarre (generalizzando) è che in materia di colpa professionale d’equipe medica per 'errore evidente' di alcuni
componenti (es. degli anestesisti), per altri (es. i chirurghi) può non esserci alcuna imputazione di
responsabilità e possono rimanere persino estranei alla vicenda giudiziaria. Quindi, in ogni vicenda (gravi
lesioni o di omicidio colposo), dovendosi esercitare l’azione penale, diventa di non secondaria importanza lo
stabilire preliminarmente se l’errore evidente sia, per così dire, un errore 'comune', in grado di coinvolgere
nell’addebito di responsabilità l’intera equipe, oppure sia particolare o settoriale. Tanto per fare un
esempio, se si può pensare che un chirurgo possa porre rimedio ad un 'banale' errore dell’anestesista, più
difficile risulta pensare che un anestesista possa rimediare ad un errore pur evidente del chirurgo
(sostituendosi).
Esemplificativa, a tal proposito, una decisione della Procura della Repubblica di Verbania: "In un intervento
di tracheotomia gli anestesisti possono, una volta segnalato al chirurgo l'errore nel quale è incorso,
attendere che questi vi ponga rimedio, non avendo motivo per ritenere che fosse incapace di effettuare
un'operazione manuale, che sapevano che aveva compiuto molte altre volte". "Imprudenti sarebbero invece
stati se si fossero subito sostituiti al chirurgo, esautorandolo dall'operazione, per tentare una manovra
alternativa più lunga e difficile di quella che il collega doveva a quel punto eseguire". "Proprio in
considerazione di questo", aggiunge la Procura, "si deve escludere che tale manovra fosse connotata da
doverosità per cessazione del principio dell'affidamento nell'equipe chirurgica sulla corretta esecuzione dei
propri compiti da parte di uno dei suoi membri". Così conclude: "non solo gli anestesisti non avevano, per
posizione gerarchica, un obbligo di prevenire e correggere l'errore del chirurgo, né, in relazione alle
concrete circostanze del reato, il comportamento inefficiente di quest'ultimo era in qualche modo da loro
prevenibile ed evitabile; ma soprattutto non si manifestava in modo così clamoroso da autorizzarli
a sostituirsi completamente a lui". (Proc. Rep. Verbania Trib., 11-03-1998 – fonte Indice
Pen., 1999, 1187 nota di MANTOVANI)
Si può trarre la conseguenza che la cooperazione colposa di più persone prevista
dall’articolo 113 del Codice penale, nel qual caso "ciascuna di queste soggiace alle pene
stabilite per il delitto stesso" può ben essere ipotizzata e configurarsi per una
parte dell’equipe: quella anestesiologica o chirurgica, rimanendone
estranea l’altra parte. La precisazione, che può sembrare superflua, ha lo scopo
di attenuare l’impressione, di un coinvolgimento generale, sempre e comunque, dell’intera equipe,
data soprattutto dalle massime giurisprudenziali. Tale sensazione è determinata da espressioni
giurisprudenziali come quelle che seguono, contenute anche dalla decisione
in commento: "ogni sanitario è responsabile non solo del rispetto delle regole di
diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte"; "deve anche conoscere
e valutare le attività degli altri componenti dell'"equipe"; "deve porre rimedio ad eventuali
errori posti in essere da altri". Un’altra considerazione che si può fare, si ricollega
al fatto che nella precedente giurisprudenza all’"errore evidente" è stato (quasi) sempre
possibile abbinare anche un comportamento negligente o imprudente dei responsabili. Nella vicenda
da ultimo decisa la responsabilità per errore evidente, in mancanza di qualsiasi riferimento
alla negligenza o all’imprudenza, sembra fondarsi sulla sola imperizia e quindi sull’incapacità degli
anestesisti.
Fonte: (Altalex - Nota di Giuseppe Mommo) LaPrevidenza.it
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