DANNO BIOLOGICO, DANNO MORALE E DANNO ESISTENZIALE:
la galassia del danno non patrimoniale nell'astratta previsione dell'art. 2059 c.c.
Inizialmente il sistema di risarcimento, come delineato dal codice civile del 1942, era articolato
su due distinte voci di danno, quello patrimoniale e quello non patrimoniale.
Fino all'inizio degli anni settanta del secolo scorso, venivano risarciti soltanto i danni patrimoniali ex
art. 2043 c.c. e i danni morali ex art. 2059 c.c.. In altri termini, il danno risarcibile alla persona
da fatto illecito altrui, risultava, definito con due voci principali:
- danno patrimoniale, consistente nella perdita di vantaggi
economici dell'attività lavorativa e della vita di relazione;
- danno morale o "pretium doloris", che comprendeva le sofferenze, il disagio
le mortificazioni e perturbazioni influenti sullo stato d'animo.
Pertanto, il danneggiato poteva richiedere o il risarcimento del danno morale, derivante da reato
ex art. 2059 c.c. e 185 c.p., che si risolvesse in un patema d'animo o dolore psicofisico "transuente", senza
produrre postumi invalidanti sulla persona medesima. In tal caso il risarcimento del danno veniva a compensare,
in qualche modo, il dolore subito (da qui il termine di pretium doloris: oggi, per fortuna, la famosa sentenza
della Corte Cost. 11 Luglio 2003, n. 233 - alla luce dell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale - ha stabilito
che l'art. 2059 non assolva una funzione sanzionatoria, pertanto, per far scattare il risarcimento del danno non
patrimoniale ai sensi dell'art. 185 c.p. sarà sufficiente la ricorrenza di una fattispecie corrispondente nella
sua oggettività all'astratta previsione di una figura di reato; né consegue che il danno non patrimoniale potrà
essere risarcito anche nelle ipotesi in cui, in sede civile, la responsabilità sia ritenuta per effetto di una
presunzione di legge).
Questa forma di tutela escludeva quel tipo di danno che poteva riguardare tutti gli individui,
compresi coloro che erano privi di un reddito lavorativo. In sostanza, colui che subiva un danno psicofisico
che lo limitava nella sua "attività di tutti i giorni" era un individuo senza tutela, qualora non fosse titolare
di un reddito proprio. Orbene, il sistema risarcitorio, così delineato, si poneva in palese contrasto sia con
le prescrizioni costituzionali disciplinate dagli artt. 2 e 3 e, soprattutto, con l'art. 32 che rimaneva
completamente ignorato.
Solo intorno agli anni 70, l'affermazione della categoria del danno biologico o danno alla salute
è stata elaborata dalla giurisprudenza. Furono proprio le critiche mosse alla mancata osservanza dell'art.
32 Cost a dare nuovo corso al danno alla persona.
La moderna lettura dell'art. 32 della Cost., introduceva - in tema di valutazione del danno - il concetto di
"salute" così come giustamente inteso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero non solo come stato
di benessere fisico, ma come qualità della vita, come benessere anche psichico, in ogni ambito dell'estrinsecarsi
della persona umana. Da qui la nascita di un nuovo concetto di danno, il danno biologico, che si aggiunge e
distingue dalle forme precedenti e che forma un nuovo modello di danno alla persona che, da quel momento,
veniva a considerarsi così costituito:
- danno patrimoniale
- danno non patrimoniale
- danno biologico
Ciò premesso, va sottolineato che le espressioni di "danno biologico" e "danno alla salute" benché
usate spesso come sinonimi, in realtà, differiscono per la loro origine.
Il danno biologico può essere definito come "la lesione dell'integrità psico-fisica, della persona
giuridicamente rilevante" e risarcibile indipendentemente dalle conseguenze patrimoniali che produce; esso
è risarcibile,quindi, indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato.
Mentre l'espressione "danno biologico" nasce nel campo medico-legale per indicare la lesione
fisio-psichica subita da un soggetto, diversamente l'espressione "danno alla salute" nasce nel campo strettamente
giuridico come lesione del diritto costituzionalmente garantito dall'art. 32 della Cost. La salute, come intesa
dal legislatore con questo articolo, rappresenta un diritto fondamentale dell'individuo, con l'ulteriore
conseguenza che dalla sua lesione discende il diritto al risarcimento del danno. Si tratta di danno non
patrimoniale, non rientrante tuttavia nell'art. 2059 (norma limitata alla sola ipotesi del danno morale),
ma riconducibile invece nell'art. 2043, il quale non esclude dal suo ambito anche figure di danno non patrimoniale.
La Corte Costituzionale prende a cuore la questione del danno biologico per la prima volta con due fondamentali
sentenze, pubblicate entrambi il 26 luglio 1979.
- La sentenza n. 88 ha per oggetto la questione di costituzionalità dell'art. 2043 c.c., con riferimento
agli artt. 3, 24 e 32 della Cost., sotto il profilo che, ad avviso del giudice a quo, la lesione del diritto
alla salute non riceve alcuna tutela.
- Mentre la n. 87 ha per oggetto l'art. 2059 c.c., con riguardo agli artt. 3 e 24 della Cost., nella parte
in cui la norma del codice riconosce come danni non patrimoniali risarcibili, soltanto, quelli derivanti da
reato e colloca la categoria del danno biologico all'interno del danno non patrimoniale e quindi dell'art.
2059 c.c. e non invece nell'art. 2043 c.c. con la consueta conseguenza della risarcibilità nei soli casi
nei quali si sia concretato un reato.
Successivamente, con la famosa sentenza n. 184 del 1986 la Corte Costituzionale perviene alla
conclusione che nell'art. 2059 c.c. vadano compresi solo i "danni morali subiettivi"; a tale risultato si
arriva applicando la distinzione tra evento materiale, che è elemento costitutivo del fatto, casualmente legato
al comportamento e conseguenze dannose del fatto in senso proprio, legate al fatto illecito complessivamente
considerato, e quindi anche all'evento, da un ulteriore nesso di causalità. Sulla base di questa distinzione
fra danno-evento e danno-conseguenza, il Giudice delle leggi ascrive alla prima categoria il danno biologico,
mentre collega alla seconda categoria sia il danno morale soggettivo, che si sostanzia in un transitorio
turbamento psicologico del soggetto offeso, conseguenza del fatto illecito lesivo della salute, che il danno
patrimoniale in senso stretto.
L'innovazione apportata da questa sentenza consiste nella risarcibilità del danno biologico in ogni caso
ed indipendentemente dalle conseguenze morali e patrimoniali da ridotta capacità lavorativa che ne derivino.
Per danno biologico, quindi, deve intendersi la menomazione dell'integrità psico-fisica in sé considerata,
in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, e prescindendo dall'attitudine del soggetto
danneggiato a produrre ricchezza. Esso si ricollega, quindi, alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto
nell'ambiente in cui la vita si esplica, e si estende, pertanto, a tutti gli effetti negativi incidenti sul bene
primario della salute, quale diritto inviolabile alla pienezza della vita ed all'esplicazione della propria
personalità morale, intellettuale e culturale.
Presupposto per l'esistenza e quindi per la risarcibilità del danno biologico, è l'accertata esistenza di
una patologia permanente o transuente, della quale soffra o abbia sofferto il corpo o la psiche.
Avv. Cosimo Prete
Giurista - Cattedra di Medicina Legale
Facoltà di Giurisprudenza - Università degli studi di lecce
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