RESPONSABILITA' DEL MEDICO-CHIRURGO IN ONCOLOGIA DERMATOLOGICA il parere del legale
di Giovanni Tarantini
Le obbligazioni inerenti all'esercizio della professione sanitaria sono di comportamento e non di risultato, nel
senso che il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera intellettuale e scientifica
per raggiungere il risultato sperato ma non a conseguirlo. Trattasi di responsabilità derivante da contratto, regolata
dagli artt. 1218 e ss.
Dottrina e Giurisprudenza tendono ad applicare l'art. 1176 c.c., che impone di valutare la colpa con riguardo alla
natura dell'attività esercitata. Infatti, il medico nell'adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività
professionale è tenuto a un grado di diligenza, che non è solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto
dall'art. 1176 c.c. primo comma, ma è quella specifica del debitore qualificato, come indicato dall'art. 1176, secondo
comma, il quale comporta il rispetto di tutte le regole dell'ars medica. Il grado di diligenza deve sempre e comunque
essere valutato in relazione alla fattispecie concreta.
La responsabilità del medico, tuttavia, è soggetta alle limitazioni di cui all'art. 2236 c.c., che prevede l'esclusione
della responsabilità nei soli casi di dolo o colpa grave per la soluzione di problemi tecnici di particolare
difficoltà, con esclusione dell'imprudenza e della negligenza.
C'è anche una responsabilità extracontrattuale, che vede il medico - come qualsiasi altro soggetto - rispondere del
fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto (art. 2043 c.c.). In tale caso l'ingiustizia non si
riferisce al fatto ma al danno.
Interviene ancora una responsabilità penale. Nel caso in cui lo stato di salute subisca un peggioramento, determinato
dall'attività sanitaria, il medico rischia di commettere il reato di lesione colposa (ex art. 590 c.p.), lesione
volontaria (art. 582 c.p) e, in alcuni casi, di omicidio colposo (art. 589 cp). A ciò vanno aggiunte una
responsabilità amministrativa per i medici dell'ASL ed una responsabilità disciplinare per violazione del codice
deontologico. Il principio dell'onere della prova subisce una particolare complessità nei casi di omessa, tardiva, o errata diagnosi
di patologie neoplastiche effettivamente in atto e nell'ipotesi di diagnosi di patologie poi risultate essere
inesistenti. In tale settore, infatti, il nesso causale costituisce indubbiamente il principale filtro per
distinguere ciò che è risarcibile da ciò che non lo è, da cui l'importante differenza tra causalità scientifica e
causalità giuridica.
In questi casi, posto che decesso o lesione sono provocati da uno stato patologico già in atto nel paziente
(es. metastasi da melanoma), questi o i suoi aventi causa sono tenuti a provare che il fatto lesivo non si sarebbe
verificato senza l'azione o l'omissione del medico, il quale ha per contro interesse a sostenere - una volta provata
la sua colpa - che l'evento si sarebbe verificato anche se la diagnosi fosse stata tempestiva o corretta. Pertanto, in presenza di un illecito il danneggiato o gli aventi causa hanno l'onere di provare la colpa del medico,
il cui esito positivo non incide, tuttavia, sulla prova del nesso di causalità tra fatto colposo ed evento.
Tale principio, altresì, acquista connotati differenti in sede civilistica e penale.
Invero, i consulenti, in relazione alla omessa od errata diagnosi di patologie neoplastiche, non possono che fornire
giudizi di tipo ipotetico-probabilistico.
Il contributo più utile e corretto, che può provenire dai medici legali e dagli specialisti, non è quindi un giudizio
sulla sussistenza o meno del nesso di causa (il giudizio sulla ravvisabilità del nesso causale è un output della
decisione su cui solo la corte ha pieno dominio), ma è piuttosto o l'indicazione di parametri (ad esempio percentuali
oppure di durata) i quali, sorretti da un'adeguata motivazione che permetta di ricostruire l'iter logico e scientifico
(ad esempio citazione di dati statistici), mettano in luce un'eventuale diminuzione delle aspettative di vita,
oppure l'indicazione o delle probabilità che dal dato certo (l'errore diagnostico in relazione ad es.alla D.D.
tra melanoma e verruca seborroica ) siano derivate o delle diminuzioni di chance di sopravvivenza (anche in questo
caso la quantificazione delle chance è auspicabile per la successiva sua monetizzazione) oppure anche solo un
peggioramento della qualità della vita (DANNO ESISTENZIALE ?; ad esempio dall'errata diagnosi la vittima si è
trovata ad affrontare interventi e terapie più invasive che le hanno reso la vita meno gradevole). È chiaro
comunque che, per quanto osservato sopra, medici legali e specialisti devono debitamente considerare il problema
della causalità anche al di fuori della ristretta ottica della perdita di chance, andando ad esaminare questo
profilo in relazione a tutte le altre conseguenze dannose (riflessi di natura psichica, peggioramenti della qualità
della vita, sofferenze morali, danni estetici, necessità di un successivo intervento maggiormente invasivo, ecc.)
che sono individuabili in ciascun caso concreto.