Mentre vi è ormai totale concordanza sul concetto che il danno estetico sia da
considerare un danno biologico nella sua valenza lesiva e come tale
risarcibile (*1) di contro, ampio dibattito è tutt'ora aperto sull'inquadramento
giuridico delle conseguenze del danno estetico sulle attività realizzatrici
della persona. Dottrina e giurisprudenza distinguono i danni patrimoniali,
sempre risarcibili, dai danni non patrimoniali, risarcibili soltanto nei casi
previsti dalla legge, essenzialmente in occasione di un reato, qualora
configurino un danno morale. Il danno alla vita di relazione, tipico di
un danno estetico medio-grave, non costituisce una forma di danno morale,
ma è una componente specifica del danno patrimoniale, in quanto incide
negativamente sulla esplicitazione di attività sociali complementari o
integrative rispetto alla normale attività lavorativa.
Un diverso orientamento giurisprudenziale, tenta di far rientrare il danno estetico
nella categoria dei danni non patrimoniali, come ad esempio indica una
sentenza del Tribunale di Cagliari, spesso citata dalla manualistica che
si è occupata dell'argomento: "la lesione dell'integrità fisica ed estetica
della persona, può provocare un danno non patrimoniale consistente
nelle sofferenze psichiche dovute alla distorsione del rapporto tra
il soggetto ed il proprio corpo e per l'incidenza negativa che
tale lesione ha nei rapporti interpersonali" (*2).
Rimane, comunque, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, una
sorta di doppio percorso che porta ad incasellare le conseguenze del danno
estetico tra i danni patrimoniali oppure tra quelli morali, ovvero si riconosce
la possibilità che una deformazione estetica determini due forme di danno,
una di tipo patrimoniale ed una di tipo morale, entrambi risarcibili, sia
pur con criteri del tutto diversificati.
(*1) Sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14 Luglio 1986
(*2) Sentenza del Trib. Cagliari del 09.01.1985
Avv. Giuseppe Rampino
Specializzato in diritto civile - Università di Lecce